martedì 5 marzo 2013

Un weekend sulla neve - parte 2



Qui la prima parte del racconto


[continua] Arrivo a casa distrutto: il tempo di fare una doccia e mi inizia a salire tutta la stanchezza della giornata. Mi stendo a pelle di leone sul divano, non ce la posso fare. Anzi, metto i piedi a bagno, ne ho bisogno. Non me li sento più. Bacinella, vieni a me.
Proprio mentre sono lì, steso come un tappeto, il suono del telefono richiama la mia attenzione. E' Lei che mi scrive, la riconosco perché le ho messo una suoneria diversa, quella che mi ricorda che non devo far passare due ore prima di leggere il messaggio, cosa che invece faccio di solito. 
Prendo il telefono, allungando le braccia fino quasi a staccarmele, pur di non perdere la mia comodissima posizione. Rido perché mi ha scritto una delle sue solite battutacce, ma intanto inizio a pensare come chiederle se domani viene a ciaspolare. Lo so che le piace, ma non vorrei romperle le scatole. E poi ha qualche problemino alla gamba e non credo che le sia già passato, infatti immagino già la risposta che mi darà.
"Allora domani si va?"
Non ho avuto molto tempo per pensare come chiederglielo, lo ha già fatto Lei, che evidentemente si è già ripresa. Mi scappa un sorriso, mentre i miei piedi implorano pietà.
"Certo che si va!" le dico. Mi sarebbe piaciuto ciaspolare con Lei dalle Capanne di Cosola fino al Monte Carmo, è un giro che con la neve non ho mai fatto, ma decidiamo insieme di farne uno più corto: Lei è ancora mezza convalescente, io sono ancora mezzo morto, non arriveremmo molto lontano. "Vediamoci alla solita ora, poi decidiamo cosa fare". Non dividiamo neanche più la spesa da fare, ormai ognuno sa perfettamente cosa deve portare per passare una bella giornata come piace a noi. Quel che è certo è che dobbiamo riposare. O almeno, io devo sicuramente farlo.

La mattina dopo, quando apro le finestre, mi sembra di essere tornato indietro di un giorno. Il cielo è dello stesso azzurro e l'aria è freddina allo stesso modo di ieri, ma che giornata, ragazzi. Viene voglia di andare a camminare anche se sei stanco morto come me.
Carico la macchina con tutto quello che ci serve: zaino, ogni genere alimentare e 3 paia di ciaspole. Quelle nuove che ho preso sono perfette per Lei e vorrei convincerla a indossarle, così potrò mettere quelle che di solito le lasciavo. Il terzo paio servirà solo in caso di suo estremo rifiuto al cambio-ciaspola. Oppure potrei offrirgliene due paia al posto di uno, come quella pubblicità del detersivo di qualche anno fa. Sarà una sottile guerra psicologica, ma alla fine sono certo che ce la farò a riprendermi le ciaspole.
Mentre la sto aspettando, vedo spuntare la sua macchinina sprintosa, tale e quale la padrona, che sta già ridendo mentre parcheggia. Carica tutto sulla mia macchina e si va verso il nostro consueto punto di partenza, la Colonia: visto il traffico, anche oggi incontreremo parecchi camminatori sui monti.
E' il momento decisivo della giornata: il cambio delle ciaspole. Lei non oppone resistenza, prova quelle nuove, massì che le piacciono, dai. Ci abbina anche due ghette che si è fatta prestare, ormai è attrezzatissima. Io indosso le mie ciaspole preferite molto velocemente, per evitare che cambi idea, sai che le donne sono imprevedibili.

Si parte, oggi abbiamo anche i bastoni, che di solito non porto mai, ma nella neve effettivamente aiutano. Prendiamo il sentiero 106, superando immediatamente due signori con un cagnolino con le gambe così corte che scompare quasi nella neve. Poco più avanti, ci fermiamo a fotografare due dischi di neve che si sono formati con la neve staccatasi dalla parete e che sono rimasti in piedi uno accanto all'altro (prima foto sotto). Sembrano due dischi del bilanciere, nessuno avrebbe potuto disegnarli meglio della natura. Pazzesco.
Ho notato che ogni volta, quando partiamo per una camminata sembriamo quasi due sconosciuti: soppesiamo le parole, abbiamo quasi vergogna a chiederci le cose. Poi regolarmente arriva un momento in cui troviamo la sintonia, come le vecchie radio, e parte di colpo la complicità. Non l'avrei mai detto, ma andiamo proprio d'accordo.
Per oggi, visto che abbiamo deciso di fare un giro corto, avrei pensato di seguire il sentiero 106 fino all'intersezione con il sentiero 115, poco prima del cancello sul versante del Panà. Da qui saremmo rientrati verso Caldirola ritornando sulle piste da sci, per poi raggiungere il crinale nei pressi del Passo Bruciamonica e seguirlo fino al Monte Giarolo. Diciamo un modo alternativo di allungare un po' una camminata al Giarolo, che altrimenti sarebbe stata troppo corta, nonostante la neve.
Però mentre camminiamo Lei si accorge che la gamba regge bene e comincia ad avanzare i primi dubbi sul giro da fare. Rimandiamo così la decisione all'ultimo bivio, quello con il sentiero 115. Quando lo raggiungiamo, Lei dice che è un peccato, in una giornata così, limitarsi a un giro corto. Sottoscrivo.
"Torniamo all'Ebro, dove siamo andati l'altra volta".
"Oddio, lo stesso giro di ieri!" dico tra me e me, ripensando al mal di piedi della sera prima. Però ripenso a quanto ci siamo divertiti l'ultima volta e mi immagino già quando saremo seduti ai piedi della croce a ridere con la bocca piena. Andiamo, andiamo.

Quando arriviamo al cancelletto a mezza costa ci fermiamo un attimo prima di prendere la salita, mentre un escursionista senza ciaspole prende la direzione di Caldirola. Ce la prendiamo comoda e saliamo lentamente. E' pazzesco notare come nel giro di un giorno la neve sia diminuita: con il caldo che fa oggi la senti proprio sciogliersi. Fa così caldo che ci  togliamo la giacca, io però mi tengo la cuffia perché con la folta chioma che mi ritrovo non vorrei bruciarmi tutta la testa. Poi esce il fumo, come quando penso tanto.
Ci fermiamo a guardare, alle nostre spalle, l'ombra dei rami storti di una pianta sulla neve, che sembrano quasi in rilievo. Sembrano quasi aprirsi delle crepe sulla neve, come nella terra quando c'è siccità.
Mentre saliamo, Lei mi indica le posizioni da tenere e mi fa un veloce servizio fotografico. E' bello avere qualcuno che ti fa le foto, andando spesso in giro da solo devo sempre inventarmi degli autoscatti per avere un mezzo ricordo della giornata. "Le usi per il blog!" mi dice. "Ho anche la fotografa", penso, "sono a posto".
Poco prima dell'arrivo sul crinale, ci giriamo a guardare la catena delle Alpi che fa da cornice al paesaggio. Arriviamo sul Panà e ci sediamo per una merenda di metà tragitto: un cioccolato diviso due direi che può bastare e Lei non fa nulla per farmi cambiare idea. Mentre parliamo, guardiamo di fronte a noi il bianco del Monte Rosa che risalta, in contrasto con il blu intenso del cielo senza nuvole.
Ripartiamo alla volta del Cosfrone, d'ora in poi sarà tutto crinale. A me piace camminare sul crinale, mi permette di spaziare con la vista fino all'infinito e mi dà un senso di pace, come se potessi controllare tutto il mondo solo con lo sguardo.
Le cavalle di neve che avevo descritto ieri ci sono ancora, quelle non si sono ridotte con il sole. Dietro di loro, gli alberi spogli permettono di vedere la neve appoggiata sui versanti delle montagne e i tronchi secchi, in lontananza, sembrano incrociarsi quasi a formare un ricamo.
Poco prima di arrivare all'Ebro, sentiamo un rumore e ci giriamo. Sopra alle nostre teste, un aliante sembra venire verso di noi. Abbastanza provati dalla fatica, abbassiamo la testa e percorriamo in silenzio gli ultimi metri verso la cima dell'Ebro, che solo pochi attimi prima era piena di persone. Ora se ne stanno andando.
Lei aumenta il passo perché ha visto che il posto ai piedi della croce è libero.
Ci togliamo le ciaspole e ci sediamo: sarà la nostra spiaggia per quasi metà pomeriggio.

Poco distante da noi, due signori organizzatissimi stanno pranzando. "Ma nessuno si porta dietro la bottiglia di vino come noi", mi rassicura Lei. Facciamo tutto in automatico, ormai. Lei taglia il salame, io apro la bottiglia e la appoggio "al fresco" nella neve. Ha portato anche la ciambella, oggi. Come fai a non volerle bene. Ci appoggiamo alla croce, con lo sguardo rivolto all'Antola, dritto di fronte a noi. Vorrei portarla a vedere l'alba là sopra, è uno spettacolo indimenticabile. Lei accoglie con entusiasmo il mio invito: ne riparleremo a fine giugno, nei dintorni di San Pietro. Intanto Lei taglia il formaggio, con la focaccia va giù che è un piacere e in pochi minuti lo finiamo. Dietro di noi continua a transitare gente, chi si ferma a mangiare un panino, chi passa e va. Noi giriamo il collo e salutiamo, ritornando poi a immergerci nei nostri discorsi, fino a rimanere da soli sulla cima del monte.
Certo che non avevo proprio capito niente di Lei, l'avevo idealizzata in un modo quando invece è l'esatto opposto. O meglio, "con alcune persone" è l'esatto opposto, come mi ha spiegato.
Non sono così bravo a esternare le mie emozioni ("sei un orso" è il complimento più ricorrente che mi viene fatto. Diciamo che riesco a esternarle molto meglio scrivendo), ma alcune cose che mi dice mi fanno davvero piacere. E' attenta, perché vede in me qualità e atteggiamenti che altri non notano. E io apprezzo tanto questo suo modo di essere. E' una persona lineare, spontanea, di quelle con le quali è semplice capirsi.
Ci lasciamo scaldare dal sole caldo di marzo, io a volte chiudo gli occhi e rimango a godermi questo momento, col silenzio della montagna interrotto solo dalla sua voce che mi parla. Poi di colpo si alza una folata di aria fredda e mi viene un brivido, giusto per ricordarmi che siamo a 1700 metri.
Dobbiamo andare, abbiamo ancora tanta strada da fare.
Ci alziamo, infiliamo le ciaspole e ci scattiamo qualche foto. Lei me ne fa una davanti alla croce, mentre cerco di scrivere sul diario dei visitatori del monte, con un raggio di sole che mi illumina: una foto che ha un non so che di "paranormale", o di "chiamata del Signore", se preferite. E poi vuoi mica andartene senza aver fatto qualche autoscatto? Mi piace rivederci nelle foto che facciamo insieme, si vede che siamo felici.

Ci avviamo sulla strada del ritorno. La luce del pomeriggio è più bella, dà una tonalità diversa a tutto il paesaggio. Che è lo stesso del mattino, ma sembra più suggestivo. E poi oggi si è formata una strana foschia, che non ci permette di vedere molto del panorama attorno, ma che rende particolari tutte le immagini che scatto durante il percorso. Mentre camminiamo, parliamo ancora. Parliamo del blog, mi piace chiederle consigli, sapere cosa ne pensa. E' collaborativa e ricca di idee. Parlando, la strada passa quasi senza accorgersene, quanto meno il primo tratto.
Quando arriviamo sul Panà, decidiamo di scendere dalle piste da sci e ci avventuriamo nella discesa dal monte, resa abbastanza complicata da tutta le neve che è rimasta. Io non riesco a stare in piedi, continuo a scivolare. Lei non aspetta altro di vedermi col sedere per terra per girarsi e fotografarmi, mentre io le lancio maledizioni.
Terminata la discesa più ripida, attraversiamo alcuni punti in cui attorno al sentiero la neve sembra appena caduta, neanche le impronte di qualche animale, niente. Sembra un lenzuolo bianco, talmente è perfetta. 
Le cose troppo perfette devono essere rovinate in qualche modo: Lei allarga le braccia e si butta sulla neve, lasciando la sua sagoma impressa, sicuramente per qualche giorno. Troviamo ancora il modo di farci delle risate, tra cadute, aiuti per alzarsi e discussioni sulle "forme" della modella che ha fatto lo stampino.
Poi ci addentriamo in un boschetto che Lei non ha mai visto, dove tra una risata e l'altra rimaniamo incantati dal colore del cielo tra gli alberi spogli.
Un blu stranissimo, "indaco" mi corregge Lei.
Per un attimo mi ritorna in mente quando qualche anno fa veniva in ufficio a portarmi a vedere le prove di stampa delle pubblicazioni con la tabella del pantone. Quando non immaginavamo che un giorno saremmo stati in montagna a fare gli stampi nella neve. E quando ancora non sapevamo di essere così stupidi, ma in fondo così simili.
Arriviamo alla macchina alla nostra solita ora, quando il pomeriggio sta per lasciare posto alla sera. Siamo stanchi, è stata una giornata intensa ma piacevole, come del resto tutte quelle che abbiamo passato insieme fino ad ora. E' stata una due giorni impegnativa, ma se potessi ripartirei immediatamente. 
Il tempo di una doccia e mi allungo sul divano, con gli occhi fissi sul soffitto, a pensare. Nella mia mente ripercorro la giornata appena trascorsa, cercando di fissare i momenti più piacevoli. Sono sereno come non mai, è una sensazione che avverto chiaramente dentro di me e che mi fa sentire bene. Così sereno che dopo pochi minuti mi addormento russando come un ghiro. Un ghiro felice.

P.s. Grazie a Francesca per le foto del sottoscritto. Oltre che per il tempo che perde insieme a me.




































































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